Il profondo Nord, illusione perduta
La crisi della Lega (e del berlusconismo) dimostra che serve un progetto nazionale non solo basati su interessi di parte. Dopo Berlusconi, Bossi; dopo la crisi del Pdl, quella della Lega: con gli avvenimenti di queste settimane si sta forse consumando definitivamente nella politica italiana quel ruolo centrale del Nord - lo definirei il Nord «ideologico», quello animato da un antico desiderio di rivincita e di primato, di cui per esempio il Piemonte non ha mai fatto parte - che, tra gli anni Ottanta e i Novanta del secolo scorso, mise alle corde la Prima Repubblica e poi cercò di ereditarne le sorti. È un ruolo che si chiude in modo fallimentare. In venti anni, infatti, quella che si presentava e per molti aspetti era un'iniziativa ambiziosa dal segno fortemente settentrionale - Lega/Forza Italia - non è riuscita ad aprire alcuna fase realmente nuova nella vita del Paese (tanto meno dal punto di vista economico), né a riformarne in meglio le istituzioni (il naufragio del cosiddetto federalismo è ormai sotto gli occhi di tutti) né a dar vita a una nuova età politica. Difficoltà e incapacità che hanno una sola origine: l'idea, condivisa tanto dalla Lega che dal berlusconismo, che al dunque la politica possa essere, e di fatto sia, solo rappresentanza di interessi (inclusi quelli di coloro che la fanno...), e nulla più. Non già, come invece è, visione generale, indicazione di traguardi collettivi e di strumenti adeguati, impulso autonomo mosso da valori, e su queste basi, poi, ma solo poi, anche mediazione creativa tra esigenze diverse. Le conseguenze? Nessuna o poca idea di nazione e di Stato, scarsa etica pubblica, noncuranza per le regole; e, come non bastasse, una leadership sempre incerta tra virulenza da e un molto casalingo tirare a campare. I risultati li abbiamo visti.
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